Il 27 ottobre un’operazione militare americana nel nord della Siria ha attaccato il nascondiglio del leader dell’ISIS Al-Baghdadi che, vistosi alle strette, si è fatto saltare in aria. Diversi esponenti della politica americana legati al deep state non sono riusciti a nascondere il proprio malcontento e hanno criticato il presidente Trump su aspetti secondari dell’operazione. Inizialmente, il Washington Post ha dato la notizia della morte di al-Baghdadi definendolo un “austero studioso della religione” [75], salvo poi modificare il necrologio. Il nascondiglio del capo dell’ISIS è stato individuato durante una visita ufficiale di Nancy Pelosi in Giordania ed esiste la concreta possibilità che sia stata lei stessa, nell’ambito di un incontro segreto con al-Baghdadi, a condurre, involontariamente o costretta in qualche modo per qualche motivo, i militari al loro obiettivo. L’operazione militare è stata condotta con il beneplacito di Russia, Siria, Turchia e dei kurdi, il che ci dà un quadro delle reali alleanze nell’area.
Prosegue intanto la procedura di impeachment di Trump nella House of Representatives, sempre su binari di incostituzionalità, con interrogatori segreti e con regole stabilite di volta in volta in modo da privare la minoranza repubblicana di ogni potere di controllo. Nonostante tutti gli sforzi, anche questo tentativo, fortemente sospinto dalla stampa, finirà in una bolla di sapone, poiché è evidente che Trump non ha commesso i crimini di cui è accusato.
Pur nell’ambito di una recessione mondiale, grazie a tutti gli accorgimenti attivati nell’ambito della “Trump economy” (vedi paragrafo omonimo nella PARTE SESTA), il reddito medio delle famiglie americane è salito, nei primi due anni della presidenza Trump, di 6000 dollari annui (con aumenti maggiori, in percentuale, per le fasce più basse, che comprendono larga parte delle minoranze etniche), contro 400 dollari negli otto anni di Bush e 1000 dollari negli otto anni di Obama.
L’accordo commerciale tra USA e Cina è in dirittura d’arrivo: sarà molto complesso, riguarderà numerosi aspetti (tra cui, ad esempio, quelli legati alla proprietà intellettuale) e sarà articolato in due fasi, di cui la prima verrà ratificata a breve; porterà alla progressiva rimozione di tutte le tariffe. Intanto, la Cina ha già avviato l’acquisto di 50 miliardi di dollari di prodotti agricoli americani, previsto nell’ambito dell’accordo.
Sembra funzionare la strategia americana in Siria: il cessate il fuoco tiene, dopo che sono state sgominate le frange kurde fiancheggiatrici del deep state. Gli USA contribuiscono a garantire la sicurezza dei pozzi petroliferi che in passato sono serviti all’ISIS per autofinanziarsi.
In Afghanistan sono ripresi i colloqui di pace, dopo che le fazioni talebane che colludono con la CIA per la vendita di eroina sono state duramente colpite.
Boris Johnson ha concesso un rinvio della Brexit di tre mesi in cambio di elezioni anticipate il 12 dicembre, che dovrebbero rafforzare il fronte antieuropeo. L’accordo accettato da Johnson sembra analogo a quello della May, tranne che per un aspetto fondamentale: il Regno Unito avrà la possibilità di stipulare accordi commerciali bilaterali con qualsiasi paese a qualsiasi condizione.
Le elezioni in Canada hanno restituito un Trudeau indebolito: il suo partito ha perso la maggioranza assoluta e ha dovuto formare un governo di coalizione.
Finora sembra confermato l’allineamento di Macron ai sovranisti: ha disposto il ritiro delle truppe francesi dalla Siria e ha dato appoggio alle manovre di Boris Johnson sulla Brexit.
Q è tornato a pubblicare il 2 novembre su 8kun con quattro post. La lunghezza del silenzio, che è stata di 93 giorni, era stata prevista nel post Q#3525 del 28 luglio: per svelare in anticipo le proprie mosse, i militari lasciano indizi interpretabili solo a posteriori (come dice Q: future proves past, cioè “il futuro prova il passato”). 8kun è di nuovo offline, Q tornerà a postare secondo i tempi stabiliti dal piano militare.
Negli USA prosegue il tentativo di colpo di stato dei democratici attraverso il processo di impeachment del presidente Trump, condotto fuori dai dettami costituzionali e di legge e fuori dalla strada indicata dai precedenti casi di Nixon e Clinton: per i vertici democratici della House of Representatives è stato necessario sopprimere i diritti della minoranza repubblicana, condurre le audizioni dei testimoni in segreto per poter selezionare le testimonianze a loro più favorevoli per mandarle diretta televisiva, evitare di far approvare l’intero procedimento di impeachment dal voto dell’aula. Nonostante questo, e nonostante l’immane lavoro di fiancheggiamento condotto dalla quasi totalità della stampa, nulla è emerso a carico di Trump, che anzi è stato sostanzialmente scagionato dalle testimonianze, che hanno riportato per lo più opinioni e “sentito dire”, anziché fatti, e gli stessi sondaggi della stampa, per quanto edulcorati, indicano che l’impeachment si sta trasformando in una catastrofe politica per il Partito Democratico. Ciononostante, i democratici sono costretti a proseguire perché sanno che la morsa giudiziaria sta per chiudersi su di loro e per controbattere non hanno altri mezzi, a parte le solite sparatorie con eccidio [76] e un paio di funerali eccellenti forse in rampa di lancio (Jimmy Carter e Ruth Bader Ginsburg, , per quest’ultima vedi paragrafo “L’assoggettamento della macchina statale” in PARTE SECONDA) per bloccare temporaneamente il ciclo delle notizie. Il piano dei militari, concepito per forzare i mass media a trattare certi temi, sta spingendo i democratici su una strada che gli farà fare la fine dei lemming: l’impeachment sarà sottoposto al voto dell’aula: se non passerà, sarà vittoria per Trump, se dovesse passare, l’intero procedimento si sposterà in Senato, dove comandano i repubblicani e l’intero impeachment, attraverso i testimoni scelti dalla maggioranza, si trasformerà in un processo ai leader democratici (il senescente Joe Biden in testa) e ai loro legami corrotti con l’Ucraina (vedi “I legami del Partito Democratico con l’Ucraina e la Cina” in PARTE TERZA).
Intanto, è stato reso noto che il 9 dicembre verrà reso pubblico il rapporto dell’inchiesta dell’Ispettore Generale Horowitz (vedi paragrafo "Il caso Trump-Russia collusion e la sua trasformazione nel boomerang Spygate" in PARTE SECONDA): non si tratta di un’inchiesta penale, l’IG potrà soltanto raccomandare l’azione giudiziaria, ma l’inchiesta servirà ad abituare il pubblico a familiarizzare con i crimini la cui denuncia pubblica distruggerà il Partito Democratico.
L’inchiesta Durham (vedi paragrafo "Il caso Trump-Russia collusion e la sua trasformazione nel boomerang Spygate" in PARTE SECONDA) è ufficialmente passata da “inchiesta preliminare” a “inchiesta penale”; il Senato ha aperto tre inchieste sui rapporti tra il Partito Democratico e l’Ucraina: è importante sottolineare che il governo ucraino collabora pienamente con gli inquirenti americani.
Continua la “moria”, sotto forma di dimissioni, di CEO (amministratori delegati) di grandi aziende in giro per il mondo [77]: il 2019 sarà l’anno record, superando anche gli apici raggiunti con la crisi del 2008-2009. Se rimuovere i vertici del deep state richiede molta cautela a causa del fuoco di sbarramento della stampa, la rimozione dei quadri intermedi è un processo molto più semplice.
Esiste un database pubblico dei preti cattolici accusati di molestie su minori o condannati per reati sessuali negli USA:
http://bishop-accountability.org/ ; http://bishop-accountability.org/priestdb/PriestDBbylastName-A.html
I nominativi registrati sono oltre 6.500 (il numero di preti cattolici negli USA è di circa 45.000 unità, va però detto che gli elenchi coprono diversi decenni).
Lo scandalo Epstein legato alla pedofilia (vedi "La borghesia finanziaria e il deep state" in PARTE PRIMA, "Il ruolo di Judicial Watch e di Project Veritas" in PARTE TERZA, "Aggiornamento del 31 luglio 2019" e "Aggiornamento del 31 agosto 2019" in PARTE SETTIMA) ha investito in pieno il principe Andrea d’Inghilterra, che ha dovuto ritirarsi dagli impegni pubblici ed è stato estromesso da Buckingham Palace, e sta ora lambendo la monarchia norvegese, nella persona della principessa ereditaria Mette-Marit. Altri nomi “toccati” fino ad ora sono quelli di Bill Gates e Al Gore. Siamo solo alla superficie, solo all’inizio.
Proseguono le trattative tra gli USA e la Cina sui dazi commerciali: benché sia quasi tutto pronto per la firma della Fase 1 dell’accordo, Trump ha lasciato aperta la possibilità di far slittare la ratifica a dopo le elezioni di novembre 2020. La dinamica economico-politico-militare (completa assenza di escalation militare a fronte della distruzione della catena di approvvigionamento cinese e della fuga di numerose imprese, collocate in Cina, verso altri paesi asiatici e, in parte, anche verso USA) conferma che non si tratta della classica guerra commerciale, benché ne abbia tutta l’apparenza, ma della lotta della borghesia sovranista contro quella globalista. Tale lotta, che al momento domina la scena internazionale al pari di una guerra mondiale (ma, diversamente da questa, può essere nascosta dall’apparato propagandistico), si manifesta, come già detto, non come lotta tra nazioni, ma come scontro tra fazioni all’interno delle singole nazioni: possiamo presupporre che lo stesso, mortale scontro in atto negli Stati Uniti abbia il suo corrispettivo in Cina, sia pure in modi e forme diverse. Così si manifestano, a livello internazionale, una cospicua serie di fenomeni, spesso violenti, che si mescolano e, talvolta, si saldano con le spinte provenienti dal ripetersi della crisi economica e dai suoi effetti sulle fasce economicamente più deboli: assistiamo quindi, contemporaneamente, a rivolte di popolo in Iran (dove il governo ha chiuso internet per nascondere il massacro della popolazione), Iraq, Cile, Bolivia, Libano, Hong Kong, ma abbiamo anche la Francia, con Macron che è, almeno in parte, ostaggio dei suoi generali e la rivolta dei gilet gialli che continua a covare sotto la cenere, e la Gran Bretagna, dove lo scontro sulla Brexit ha visto l’intervento “occulto” dei militari in favore della stessa.
Q ha ripreso a pubblicare a piacimento dei militari ed è notizia comprovata (benché nascosta) che parte dei server che ospitano la piattaforma 8kun sono dislocati nel Dipartimento della Difesa. Questo fino al varo del progetto Odin: una rete decentralizzata e incensurabile sul modello di quella del bitcoin: tecnologia militare.
Si intensifica lo scontro in Medio Oriente. Da una parte le forze russe e siriane continuano le operazioni militari nella provincia di Idlib per eliminare le forze legate al deep state, dall’altra lo stesso deep state globalista ha architettato una complessa controffensiva in Iraq. Le fazioni globaliste del governo iraniano (finora prevalenti) hanno inscenato una protesta popolare a Baghdad, con assalto all’ambasciata USA (la longa manus iraniana pare confermata dalla presenza, tra la folla, di Hadi al-Amiri, ex ministro iracheno legato a Teheran). Gli USA hanno reagito nell’immediato inviando cento marines, centinaia di paracadutisti e due elicotteri apache a guardia della sede diplomatica, e nelle 48 ore con un raid missilistico (quattro i missili utilizzati) che ha ucciso, a Baghdad, il potentissimo generale iraniano Qasem Soleimani, ex comandante della Guardia Rivoluzionaria iraniana e comandante della Forza Quds, organizzazione militare iraniana che si occupa delle operazioni all’estero (secondo molti analisti, Soleimani era il numero due del governo iraniano). A questo raid è seguito l’ingresso di 3000 soldati americani in Iraq dal Kuwait (3000 nuovi soldati USA verranno dispiegati quindi proprio in Kuwait) e un nuovo raid missilistico, in cui sono stati uccisi, sempre in Iraq, cinque comandanti del gruppo paramilitare filo-iraniano Hashed Al Shaabi. Uno scenario probabile è il seguente: Soleimani stava preparando un golpe in Iraq, con concomitanti assalti alle sedi diplomatiche americane nella regione. Duplice lo scopo: riconquistare posizioni perdute dal deep state in Medio Oriente attraverso un conflitto su vasta scala [78] e il relativo caos e mettere, di conseguenza, in discussione la rielezione di Trump a novembre. L’amministrazione Trump vorrebbe evitare il conflitto e si trova a gestire una situazione di escalation militare [79]. Le reazioni del fronte globalista americano (molto legato al deep state iraniano [80], si pensi all’accordo USA-Iran sul nucleare [81]; anni fa una “soffiata” di Obama salvò Soleimani da un raid israeliano) all’uccisione di Soleimani sono state, come sempre in questi casi, ambigue: si va da posizioni quasi filo-iraniane dell’estrema sinistra parlamentare all’espressione di preoccupazione per l’escalation militare proveniente dalla maggior parte degli esponenti democratici e dei never-trumpers repubblicani, che palesano l’inquietudine per una potenziale nuova sconfitta politico-militare del deep state. Eclatante il caso del New York Times, che attraverso un articolo pubblicato poche ore prima del raid, in cui si ipotizzava lo scenario di un attacco missilistico proprio diretto contro Soleimani “eventualmente” presente a Baghdad [82], ha molto probabilmente tentato di avvisare il generale iraniano dell’imminente pericolo. Il fatto che Soleimani abbia combattuto contro l’ISIS ci dimostra come una fazione della classe dominante presente e operante su scala mondiale non può essere monolitica, ma è a sua volta internamente divisa da interessi particolari (in questo caso, l’interesse dell’Iran di imporsi come potenza regionale).
Sopra, un singolare scambio di tweet tra Trump e Soleimani nello stile di Games of Thrones. Vi si legge “Le sanzioni stanno arrivando - 5 novembre” (Trump) – “Resisterò contro di te” (Soleimani). Il tweet di Trump è del 2 novembre 2018.
La Turchia ha deciso l’invio di truppe in Libia in appoggio al generale Al Serraj (sostenuto dall’ONU e da gran parte dell’UE) contro il generale Haftar (appoggiatoto da USA e Russia). Potrebbe trattarsi del solito gioco delle parti di tipo “siriano” (vedi "Aggiornamento del 10 ottobre 2019" in PARTE SETTIMA) in una strategia che dovrebbe dipanarsi nelle prossime settimane, visto che Erdogan (che incontrerà Putin l’8 gennaio), al di là delle apparenze, si è sempre allineato, negli ultimi anni, alla volontà di USA e Russia.
Il Congresso americano ha ratificato l’accordo commerciale USMCA tra USA, Messico e Canada, dopo averlo tenuto per diversi mesi in stand-by nel tentativo di danneggiare Trump. Il trattato va a sostituire il NAFTA e va nella direzione di un allargamento della base manifatturiera nel Nord America (soprattutto nei rami dell’industria automobilistica e di quella siderurgica), di un innalzamento dei salari nell’industria automobilistica (il 40-45% delle automobili deve essere prodotto con un salario minimo di 16 dollari l’ora), di abbattimenti tariffari per il commercio tra i tre paesi e di una maggiore protezione della proprietà intellettuale. La clausola 32.10 dà ad ogni paese sottoscrittore voce in capitolo su eventuali accordi commerciali stipulati dagli altri membri con stati aventi “economie non di mercato” (leggi: Cina).
Il 15 gennaio dovrebbe essere ratificata la prima fase (di due complessive) dell’onnicomprensivo accordo commerciale tra USA e Cina, un trattato che tende ad eliminare le asimmetrie tariffarie tra i due paesi, ossia vanno ad attenuare quegli artifici che hanno spinto la delocalizzazione industriale oltre i limiti intrinseci imposti dai “normali” meccanismi economici del capitalismo (vedi "L’economia di carta e le banche centrali" in PARTE QUARTA).
Le elezioni del 12 dicembre in Gran Bretagna hanno sancito il trionfo del fronte anti-europeo: la Brexit dovrebbe diventare un fatto compiuto il 31 gennaio.
Questi 3 eventi (USMCA, trattato USA-Cina e Brexit), ai quali vanni aggiunti anche i trattati bilaterali USA-Giappone e USA-Corea del Sud, cambiano lo scenario del commercio mondiale e dei flussi di capitale.
Q ha reso noto (Q#3754) che l’amministrazione Obama ha assegnato un contratto da 350 milioni di dollari alla Pearson Publishing per dei testi scolastici e che una sussidiaria della stessa casa editrice ha pagato 65 milioni di dollari a Barack Obama, una volta concluso il mandato presidenziale, per un accordo su un libro da pubblicare. Si tratta chiaramente di una mega-tangente; lo stesso Trump ha alluso all’accordo economico di Michelle Obama per la pubblicazione del suo libro e all’intesa dei coniugi Obama per la collaborazione con Netflix come ad accordi sospetti. Sono tutti potenziali punti di attacco giudiziario per l’ex presidente USA e per la moglie, che rimane un potenziale candidato dell’ultima ora (magari con la backdoor della vicepresidenza) per le elezioni presidenziali.
Si avvicina il momento in cui Assange verrà, probabilmente, estradato negli USA (la prima audizione in tribunale per l’estradizione è prevista per il 25 febbraio) (vedi "Julian Assange supertestimone?" in PARTE TERZA).
Il governo americano ha minacciato di dichiarare i cartelli messicani del narcotraffico come “organizzazioni terroristiche”; il governo del Messico, per bocca del presidente Obrador, ha risposto contro-minacciando di perseguire le organizzazioni americane che forniscono ai narcos le armi e i precursori chimici per la sintesi degli stupefacenti. È molto interessante e illuminante questo articolo con le mappe della presenza dei cartelli messicani sul suolo statunitense: https://www.businessinsider.com/dea-maps-of-mexican-cartels-in-the-us-2016-12?IR=T
Il rapporto dell'Ispettore Generale Horowitz [82A], che ha concluso l'ispezione sulle azioni del Dipartimento della Giustizia e dell'FBI nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta collusione di Trump con la Russia ed è stato pubblicato il 9 dicembre, ha fatto emergere, a livello ufficiale, numerose negligenze e comportamenti illegali [82B]. Ricordiamo che non si trattava di un'inchiesta penale, ma di un'ispezione che rappresenta solo una primissima fase della denuncia ufficiale e pubblica delle azioni incostituzionali del deep state.
La vicenda Soleimani si è conclusa con il “falso” bombardamento (un genere che, a quanto pare, ultimamente va di moda: vedi "Addio al petrodollaro" in PARTE QUINTA) di una base americana, preventivamente concordato con gli USA in modo che l’Iran potesse salvare la faccia [83]. Sembra che il generale sia stato tradito da una fronda interna e che, subito dopo la sua uccisione, siano stati arrestati diversi suoi collaboratori nella Guardia Rivoluzionaria, tra cui il suo braccio destro. Ciò conferma che gli USA sono intervenuti nella dinamica di una spaccatura interna già presente, spostando decisamente l’ago della bilancia dalla parte dei sovranisti iraniani. I moti di piazza, tuttora in atto, confermano le divisioni nella classe dirigente iraniana. Soleimani era al vertice di una fazione globalista che armava e finanziava gli Hezbollah in Libano e Siria, Hamas a Gaza, i miliziani sciiti e jihadisti sempre in Siria, i miliziani Huthi in Yemen, più altri gruppi paramilitari in giro per il mondo [84]: l’Iran serviva quindi da hub per veicolare ingenti risorse verso numerose operazioni del deep state. Anche una fetta dei 150 miliardi di dollari (di cui 1,8 miliardi in contanti, vedi "Il riarmo, le guerre e gli stati-ostaggio" in PARTE QUINTA) dati all’Iran dall’amministrazione Obama nell’ambito del nuclear deal sono stati destinati al finanziamento di queste operazioni [85]. Intanto, una prima apertura ufficiale agli USA è venuta dal ministro degli esteri Zarif, che si è detto pronto a negoziare con gli americani purché vengano ritirate le sanzioni, parole che sembrano riecheggiare quelle di Kim Jong Un dopo l’escalation verbale con Trump del 2017.
La manovra effettuata con l’uccisione di Soleimani ha provocato una serie di smottamenti nell’area mediorientale e nordafricana. Il 28 gennaio Trump e Netanyahu hanno presentato il piano di pace per l’area israelo-palestinese, che prevederebbe la creazione di uno stato palestinese indipendente [86], con capitale in alcuni quartieri di Gerusalemme Est, privo di esercito ma con una polizia locale. Per la prima volta, la creazione di uno stato palestinese è stata ufficialmente accettata da Israele (il piano è stato sottoscritto anche dal principale avversario politico di Netanyahu alle prossime elezioni del 2 marzo); in questa vicenda si possono individuare le modalità del piano anti-globalista dei militari (americani e non solo): le concessioni a Israele delle alture del Golan e dello spostamento della capitale a Gerusalemme (vedi "Addio al petrodollaro" in PARTE QUINTA) erano evidentemente mirate anche a ottenere il via libera per lo stato palestinese. I palestinesi hanno opposto al piano di pace uno scontato rifiuto, ma la proposta rimane per ora sul tavolo: tutto dipenderà dagli equilibri interni alla classe dirigente palestinese che, alla luce della chiusura dei rubinetti dei finanziamenti (iraniani e non: Egitto e Arabia Saudita sono ora alleati de facto di Israele), potrebbe trovarsi costretta ad accettare per mancanza di alternative.
Alla luce dei fatti, la manovra turca sulla Libia (che, come avevamo supposto, è stata certamente concordata con USA e Russia) è servita a raggiungere una tregua tra Haftar e Al Serraj e a trovare una soluzione politica allo scontro, come sancito dalla dichiarazione di Berlino del 19 gennaio.
Come da copione, il 15 gennaio è stata siglata la Fase 1 dell’accordo commerciale tra USA e Cina, un documento onnicomprensivo che avrà un’enorme portata sul commercio mondiale e che sarà completato dalla Fase 2. La Cina si impegna ad acquistare prodotti agricoli e industriali per 250 miliardi di dollari in due anni (aprendo quindi il proprio mercato, finora superprotetto): gli acquisti cinesi si spostano quindi dall’area finanziaria a quella dell’economia produttiva. Per quanto riguardi i contenziosi sulla proprietà intellettuale e sui trasferimenti tecnologici, l’onere della prova si sposta dagli Stati Uniti alla Cina, un passo anche questo epocale. In cambio, gli USA toglieranno una parte delle tariffe applicate all’inizio della “guerra commerciale” cioè, praticamente, non rinunceranno a nulla di strutturale per la loro economia. È chiaro che un risultato del genere, venuto sull’onda di una (apparente) guerra commerciale, combattuta tra due superpotenze con un’asprezza che non si vedeva da decenni, senza però alcun riflesso sul piano militare (le tensioni militari tra USA e Cina, specie nel Mar Cinese Meridionale, erano assai più accentuate durante l’amministrazione Obama), sarebbe stato impossibile senza un preventivo accordo tra sovranisti americani e cinesi. È chiaro anche come il piano economico dei militari persegua, per quanto possibile, la separazione tra economia produttiva ed economia fittizia, da una parte attraverso il riequilibrio della bilancia commerciale (l’equilibrio della bilancia commerciale sta a significare che, alla fine dei conti, tutte le merci di un paese vengono scambiate con altre merci), e dall’altra con l’acquisto dei prodotti finanziari per mezzo di denaro creato all’uopo (la FED è arrivata a pompare 70 miliardi di dollari nei mercati finanziari in un solo giorno [87]). Nota a margine: attraverso un Ordine Esecutivo il presidente americano a sbloccato la produzione delle terre rare negli USA, dopo che questa era stata praticamente bloccata, diversi anni fa, per motivi ambientali. Questi elementi, fondamentali per la costruzione degli apparecchi elettronici, sono forniti sul mercato mondiale per il 97% dalla Cina e sono considerati il “petrolio cinese”, un prodotto minerario di grandissimo valore economico e strategico. Ebbene, l’accordo commerciale appena siglato vincola la Cina ad acquistare una certa quota di terre rare negli USA allo scopo di stimolarne la produzione [88].
L’economia mondiale è in crisi (nel 2019 il commercio mondiale si è contratto del 6%), ma quella americana è in discreta salute grazie al piano dei militari (vedi "La Trump Economy" in PARTE SESTA): sebbene i dati economici non siano più affidabili da decenni, possiamo dare più o meno per buoni i 7 milioni di nuovi posti di lavoro creati a partire dall’insediamento di Trump, di cui 1,2 milioni nel settore manifatturiero e delle costruzioni. Significativa sembra essere la crescita dei salari, soprattutto per le categorie con i redditi più bassi; le dinamiche salariali risentono anche della stretta sulle politiche migratorie [89]: se prima di Trump per ogni due nuovi posti di lavoro occupati da immigrati (legali o illegali) ne nascevano cinque che venivano occupati da cittadini americani, ora il rapporto è di due a sette.
Continua il processo parlamentare di impeachment nei confronti Trump, gigantesca trappola tesa dai militari ai danni del Partito Democratico. Invece di spegnersi nella House of Representatives, vista l’oggettiva mancanza di qualsiasi presupposto legale, il procedimento è stato spinto in Senato dalla speaker democratica Nancy Pelosi (probabilmente costrettavi, in qualche modo, dagli stessi militari) e nella camera alta l’impeachment, tuttora in corso, si sta trasformando in un quasi-processo ai democratici e ai loro legami corrotti con l’Ucraina. Nonostante il lavoro di schermo operato dai mass media, certe notizie cominciano in questo modo a filtrare in profondità nell’opinione pubblica americana. Con il tempo, intanto, si va delineando, grazie all’emergere di alcuni fatti, la presenza di “doppi agenti”, che avrebbero fatto il gioco dei militari fingendo di essere dalla parte opposta. Due di questi potrebbero essere Rod Rosenstein (ex viceministro della giustizia del gabinetto Trump) e Bob Mueller [89A] (vedi "Il caso Trump-Russia collusion e la sua trasformazione nel boomerang Spygate" in PARTE SECONDA e "Le forniture di armi e dollari ai falsi nemici" in PARTE TERZA).
Le recenti scosse telluriche all’interno della famiglia reale inglese (la marginalizzazione del principe Andrea per la pedofilia e l’allontanamento, apparentemente volontario, del nucleo familiare del secondogenito del principe ereditario Carlo) non sono casuali, ma sono probabilmente da leggersi nel quadro dell’attuale “guerra mondiale silenziosa” e dei conseguenti recenti eventi politici che hanno animato il Regno Unito: Megan e Harry sono forse i due membri più legati al globalismo e alla propaganda correlata al business, potenzialmente trilionario, dei cambiamenti climatici.
(continua)
[75] https://dailycaller.com/2019/10/27/wapo-al-baghdadi-austere-religious-scholar/
[76] Ce ne sono state sei tra l’1 e il 6 dicembre, vedi Q#3654
[77] https://qmap.pub/resignations
[78] Per il tentativo, con finalità analoghe, effettuato il 14 settembre, vedi "Aggiornamento del 20 settembre 2019" in PARTE SETTIMA.
[79] Al di là della retorica di prassi in queste occasioni, i contatti tra USA e Iran avvengono su canali informali. Il calcolo americano si basa sul far leva sulla fazione sovranista della classe dirigente iraniana per evitare lo scontro militare aperto; il colpo inferto con l’uccisione di Soleimani dovrebbe aver indebolito i globalisti iraniani.
[80] Ad esempio, uno degli ospiti più illustri al matrimonio della figlia di John Kerry (Segretario di Stato sotto Obama dal 2013 al 2017) era il figlio del ministro degli esteri iraniano: https://truepundit.com/family-business-john-kerrys-daughter-married-iranian-national-best-man-was-son-of-irans-minister-of-foreign-affairs/
[81] Vedi paragrafo "Il riarmo, le guerre e gli stati-ostaggio" in PARTE QUARTA
[82A] Vedi paragrafo "Il caso Trump-Russia collusion e la sua trasformazione nel boomerang Spygate" in PARTE SECONDA e "Aggiornamento del 7 dicembre 2019" in questo stesso post.
[83] È probabile che il jet di linea ucraino sia stato abbattuto a Teheran da parte di militari legati ai globalisti non per errore, bensì per far crescere la tensione ed arrivare alla guerra aperta.
[84]
[85] Questo per ammissione dello stesso John Kerry: https://www.redstate.com/nick-arama/2020/01/06/761025/
[86]
[89] https://www.economist.com/united-states/2020/02/13/immigration-to-america-is-down-wages-are-up
[89A] https://twitter.com/QanonItalia/status/1258873011035348992
NON CONSIDERATE QUELLO CHE AVETE LETTO COME VERO AL 100%, MA FATE LE VOSTRE RICERCHE E ARRIVATE ALLE VOSTRE CONCLUSIONI. SCAVATE IN CERCA DELLA VERITÀ. NON È PIÙ TEMPO DI ACCONTENTARSI DI "VERITÀ" PRECONFEZIONATE DA ALTRI.
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