La politica economica dell’amministrazione Trump, non diversamente da quelle che l’hanno preceduta, si basa sul vertiginoso aumento del debito pubblico (a fine aprile 2019, ad esempio, è stato varato un piano da 2 trilioni di dollari per rimodernare le infrastrutture: strade, ferrovie, aeroporti, ecc.), questa volta però a vantaggio del popolo e, in virtù del Piano Militare, con la certezza che, alla fine della fiera, avverrà una sorta di bancarotta con tanto di reset globale e il debito non verrà mai pagato.
Al cuore della politica economica di Trump ci sono la difesa della produzione agricola e industriale, la difesa dei fondi pensionistici e l'aumento generalizzato dei redditi, soprattutto per le categorie più basse. Di qui, l'attacco frontale a tutte le politiche globaliste mirate all'instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale e dell'inasprimento massimo dello sfruttamento della forza-lavoro, dal Global Compact sull'immigrazione ai vari accordi commerciali regolati a livello sovranazionale (ad esempio il NAFTA, appena rinegoziato e talmente snaturato da Trump da essere stato praticamente sostituito da accordi bilaterali, e i vari TPP e TTIP, strangolati dallo stesso nella culla).
A dicembre del 2018 c’è stata la svolta nella lotta per il controllo del truccatissimo mercato azionario, importante soprattutto in ottica propagandistica: nell’attuale circo dell’informazione americana (e, di rimbalzo, mondiale), il rialzo dell’indice azionario viene automaticamente correlato ad un’economia in salute. Fino allo scorso dicembre le sorti dell’andamento di Wall Street erano nelle mani della Cricca, che stava facendo crollare la borsa come risposta agli attacchi diretti di Trump alla FED, il suo asset più prezioso. Il segnale decisivo è arrivato il 25 dicembre 2018: il consiglio di Trump “buy the dip” (comprate ora che i prezzi sono bassi), riferito al mercato azionario, sanciva il passaggio del controllo della borsa nelle mani dei militari. Da allora, l’indice Dow Jones è salito da circa 21.000 punti a circa 25-26.000.
Allo stesso modo, i militari stanno ora controllando le politiche della FED. Dopo aver nominato Jerome Powell alla direzione delle Federal Reserve a febbraio del 2018, le dichiarazioni di Trump lasciavano intendere la necessità di un cambiamento negli indirizzi sul tasso di sconto. L’intenzione del deep state, come svelato da Q in Q#2575, era infatti quella di aumentare continuamente i tassi, con ritmi accelerati a partire da marzo 2019 e con l’intenzione di anticipare il crollo dell’economia per far perdere a Trump le elezioni del 2020. Le ultime riunioni della FED indicano un’inversione di rotta e uno stand-by sull’incremento dei tassi .
Al momento (1 maggio 2019), la situazione del Board della FED è la seguente: su 5 membri, 3 sono stati nominati da Trump (nell’ambito dell’epidemia di dimissioni sospette); in più, ci sono due seggi vacanti, per i quali il presidente americano ha presentato altrettante nomine (per la cronaca, si tratta di individui favorevoli al gold standard), che dovranno essere confermate dal Senato. È chiaro che il controllo della FED non passa solo per il controllo del Board nominato da presidente, visto che si tratta di un’istituzione privata che ha sì particolari accordi con il governo americano, ma che gode, per certi versi, di diritti di extraterritorialità. Evidentemente, oltre alle nomine suddette, sono state portate a compimento, da parte dei militari, altre azioni coercitive, ad oggi non note.
Per quanto riguarda l’”economia reale”, la strategia dell’amministrazione americana è quella di affrontare la crisi economica già iniziata (si vedano, ad esempio, i dati del mercato immobiliare mondiale e di quello dell’auto, il Baltic Dry Index o i dati sul commercio mondiale) minimizzandone l’impatto sulla popolazione. Il previsto abbandono del dollaro come moneta mondiale implica la necessità dell’indipendenza energetica (ad oggi già raggiunta: gli USA sono i maggiori produttori al mondo sia di petrolio che di gas naturale e sono esportatori netti di energia; nel 2025 la produzione di petrolio raggiungerà quella combinata di Russa e Arabia Saudita) e il riequilibrio della bilancia commerciale: gli accordi bilaterali con i livellamenti tariffari, uniti all’imponente deregulation per attirare imprese dall’estero e ridare fiato alla piccola e media impresa, dovrebbero portare ad un rilancio della produzione agricola e manifatturiera, o quanto meno a una sua tenuta nell’ambito della crisi mondiale.
Un’altra strategia fondamentale per l’attuale amministrazione prevede un ingente rientro di risorse prima utilizzate per mantenere l’impalcatura del deep state in tutto il pianeta: parliamo dei già citati: ridimensionamento delle spese NATO a svantaggio dei paesi europei, ritiro dall’Iran Nuclear Deal, disimpegno dalle varie guerre per il controllo del Medio Oriente, fine della protezione militare gratuita per i paesi del Golfo Persico, fine degli squilibri tariffari (vedi sopra).
Nei piani economici c’è anche il riacquisto da parte di imprese americane di asset strategici come il porto di Long Beach (il secondo del paese come infrastrutture automatizzate per il carico e lo scarico di container), ceduto ad investitori cinesi durante l’amministrazione Obama.
Sul fronte delle politiche in favore del popolo, è evidente soprattutto l’azione nei confronti del sistema sanitario, con un’azione mirata all’eliminazione dell’Obamacare , che si è stato solo in parte uno strumento per coprire le fasce della popolazione a reddito più basso escluse dall’assistenza (ci sono ancora 28-30 milioni di americani senza copertura sanitaria), ma si è rivelato soprattutto un gigantesco regalo alle compagnie assicurative, con i premi che sono lievitati in maniera impressionante, talvolta raddoppiando nel giro di un anno o due. Si punta a creare un meccanismo che abbatta i costi sia per le imprese che per i singoli cittadini, mantenendo la più ampia copertura possibile. L’amministrazione americana ha inoltre esercitato una forte pressione sulle case farmaceutiche perché abbassassero il prezzo dei farmaci e sulla FDA perché approvasse un gran numero di farmaci generici a basso costo. Altra iniziativa populista degna di rilievo è il corposo taglio della tasse, che ha favorito soprattutto una middle class sulla via della proletarizzazione.
La crisi già iniziata dovrebbe vedere quindi gli USA in una posizione di vantaggio rispetto all’Unione Europea: nella UE non c’è praticamente più margine per tagliare il tasso di sconto a sostegno del credito (negli USA è al 2,5%, mentre quello della BCE è allo 0%; quasi certamente i tassi americani verranno presto tagliati per dare slancio all’economia in vista delle presidenziali del 2020 e favorire la rielezione di Trump) e sono accese le micce della Brexit e dei gilet jaunes. La crisi, secondo molti commentatori, dovrebbe essere utilizzata dal fonte anti-Cricca per puntare il dito sulle banche centrali e farle definitivamente saltare.
Aggiornamento dell’8 settembre 2019 - Aggiornamento sulla cosiddetta “guerra commerciale” tra USA e Cina: lo scontro ha preso una piega così drastica, con dazi americani su 600 miliardi di dollari di merci cinesi e con Trump che manovra per il rientro negli USA delle aziende americane che producono in Cina (pare che già adesso il 13% delle aziende straniere sia pronto a lasciare la Cina a causa dei dazi; milioni di operai cinesi hanno già perso il lavoro) che se non fosse in piedi un accordo segreto per il riequilibrio della produzione e del commercio mondiali, così come tratteggiato nella PARTE QUARTA (operazione funzionale al ritorno all’oro come moneta mondiale, oro che la Cina ha accumulato in grandi quantità negli ultimi decenni, probabilmente ben al di là degli acquisti ufficiali), staremmo già assistendo ad un’escalation militare, di cui in realtà non v’è traccia. L’accordo commerciale bilaterale tra USA e Cina verrà quindi ratificato nel momento stabilito dal piano dei militari.
Sul piano interno, continuano i successi delle politiche economiche di Trump, pur in un quadro globale di recessione: nei primi due anni di presidenza, i profitti d’impresa sono cresciuti di 220 miliardi di dollari, la massa dei salari di un trilione di dollari (questi dati sono abbastanza credibili, se non nella quantità almeno nella tendenza). Anche il controllo dell’immigrazione clandestina ha contribuito all’incremento dei salari reali, dinamica che negli USA non si vedeva da oltre un ventennio. La crescita dei salari reali riguarda soprattutto le categorie meno pagate e gli operai dell’industria manifatturiera. Per questo e altri motivi, l’opposizione democratica (e il deep state globalista in generale) è spinta nell’angolo e abbraccia posizioni politiche sempre più estreme, avendo ormai come unico bastione la grande stampa, quasi completamente schierata sul fronte anti-Trump e sempre più delegittimata dalle continue fake news che è costretta a sfornare di continuo per esigenze politiche. Continua intanto il braccio di ferro tra l’amministrazione americana e i giganti del tecnologico, con Google e Facebook finiti anche nel mirino dell’antitrust. La Fed si è piegata alle richieste di Trump e inizierà ad abbassare i tassi in maniera decisa, adottando contemporaneamente altre politiche di espansione monetaria (quantitative easing).
Aggiornamento del 20 settembre 2019 - L’attacco del deep state iraniano all’enorme raffineria saudita dell’Aramco (14 settembre) mediante droni e missili cruise era una mossa progettata per colpire l’economia mondiale mediante il rialzo dei prezzi del greggio, generando così pressioni inflazionistiche [64] tali da forzare la mano alla Fed e spingerla a cancellare il taglio dei tassi (fondamentale, insieme al quantitative easing, per spostare gli effetti della crisi a dopo il 2020 e rendere più agevole la rielezione di Trump). Un altro obiettivo era quello di scatenare la guerra tra USA e Iran, nella speranza di rompere le alleanze sovraniste e riconquistare posizioni. Il colpo, che ha provocato l’immediato calo della produzione mondiale di greggio dolce (a basso tenore di zolfo, quindi facilmente convertibile in prodotti petroliferi) di 6 milioni di barili al giorno e il rialzo del prezzo al barile del 12% in una sola giornata di contrattazioni, è stato velocemente riassorbito: gli USA, ormai energeticamente indipendenti, hanno messo a disposizione le riserve strategiche in modo da mantenere il mercato ben fornito e una valutazione dei danni ha stabilito che la raffineria potrà tornare a pieno regime entro breve tempo. Inoltre, la Fed ha ugualmente tagliato i tassi di un quarto di punto e la trappola della guerra finora non è scattata.
Aggiornamento del 9 novembre 2019 - Pur nell’ambito di una recessione mondiale, grazie a tutti gli accorgimenti attivati nell’ambito della “Trump economy”, il reddito medio delle famiglie americane è salito, nei primi due anni della presidenza Trump, di 6000 dollari annui (con aumenti maggiori, in percentuale, per le fasce più basse, che comprendono larga parte delle minoranze etniche), contro 400 dollari negli otto anni di Bush e 1000 dollari negli otto anni di Obama.
L’accordo commerciale tra USA e Cina è in dirittura d’arrivo: sarà molto complesso, riguarderà numerosi aspetti (tra cui, ad esempio, quelli legati alla proprietà intellettuale) e sarà articolato in due fasi, di cui la prima verrà ratificata a breve; porterà alla progressiva rimozione di tutte le tariffe. Intanto, la Cina ha già avviato l’acquisto di 50 miliardi di dollari di prodotti agricoli americani, previsto nell’ambito dell’accordo.
Aggiornamento del 5 gennaio 2020 - Il Congresso americano ha ratificato l’accordo commerciale USMCA tra USA, Messico e Canada, dopo averlo tenuto per diversi mesi in stand-by nel tentativo di danneggiare Trump. Il trattato va a sostituire il NAFTA e va nella direzione di un allargamento della base manifatturiera nel Nord America (soprattutto nei rami dell’industria automobilistica e di quella siderurgica), di un innalzamento dei salari nell’industria automobilistica (il 40-45% delle automobili deve essere prodotto con un salario minimo di 16 dollari l’ora), di abbattimenti tariffari per il commercio tra i tre paesi e di una maggiore protezione della proprietà intellettuale. La clausola 32.10 dà ad ogni paese sottoscrittore voce in capitolo su eventuali accordi commerciali stipulati dagli altri membri con stati aventi “economie non di mercato” (leggi: Cina).
Il 15 gennaio dovrebbe essere ratificata la prima fase (di due complessive) dell’onnicomprensivo accordo commerciale tra USA e Cina, un trattato che tende ad eliminare le asimmetrie tariffarie tra i due paesi, ossia vanno ad attenuare quegli artifici che hanno spinto la delocalizzazione industriale oltre i limiti intrinseci imposti dai “normali” meccanismi economici del capitalismo.
Le elezioni del 12 dicembre in Gran Bretagna hanno sancito il trionfo del fronte anti-europeo: la Brexit dovrebbe diventare un fatto compiuto il 31 gennaio.
Questi 3 eventi (USMCA, trattato USA-Cina e Brexit), ai quali vanni aggiunti anche i trattati bilaterali USA-Giappone e USA-Corea del Sud, cambiano lo scenario del commercio mondiale e dei flussi di capitale.
Aggiornamento del 31 gennaio 2020 - Come da copione, il 15 gennaio è stata siglata la Fase 1 dell’accordo commerciale tra USA e Cina, un documento onnicomprensivo che avrà un’enorme portata sul commercio mondiale e che sarà completato dalla Fase 2. La Cina si impegna ad acquistare prodotti agricoli e industriali per 250 miliardi di dollari in due anni (aprendo quindi il proprio mercato, finora superprotetto): gli acquisti cinesi si spostano quindi dall’area finanziaria a quella dell’economia produttiva. Per quanto riguardi i contenziosi sulla proprietà intellettuale e sui trasferimenti tecnologici, l’onere della prova si sposta dagli Stati Uniti alla Cina, un passo anche questo epocale. In cambio, gli USA toglieranno una parte delle tariffe applicate all’inizio della “guerra commerciale” cioè, praticamente, non rinunceranno a nulla di strutturale per la loro economia. È chiaro che un risultato del genere, venuto sull’onda di una (apparente) guerra commerciale, combattuta tra due superpotenze con un’asprezza che non si vedeva da decenni, senza però alcun riflesso sul piano militare (le tensioni militari tra USA e Cina, specie nel Mar Cinese Meridionale, erano assai più accentuate durante l’amministrazione Obama), sarebbe stato impossibile senza un preventivo accordo tra sovranisti americani e cinesi. È chiaro anche come il piano economico dei militari persegua, per quanto possibile, la separazione tra economia produttiva ed economia fittizia, da una parte attraverso il riequilibrio della bilancia commerciale (l’equilibrio della bilancia commerciale sta a significare che, alla fine dei conti, tutte le merci di un paese vengono scambiate con altre merci), e dall’altra con l’acquisto dei prodotti finanziari per mezzo di denaro creato all’uopo (la FED è arrivata a pompare 70 miliardi di dollari nei mercati finanziari in un solo giorno). Nota a margine: attraverso un Ordine Esecutivo il presidente americano a sbloccato la produzione delle terre rare negli USA, dopo che questa era stata praticamente bloccata, diversi anni fa, per motivi ambientali. Questi elementi, fondamentali per la costruzione degli apparecchi elettronici, sono forniti sul mercato mondiale per il 97% dalla Cina e sono considerati il “petrolio cinese”, un prodotto minerario di grandissimo valore economico e strategico. Ebbene, l’accordo commerciale appena siglato vincola la Cina ad acquistare una certa quota di terre rare negli USA allo scopo di stimolarne la produzione.
L’economia mondiale è in crisi (nel 2019 il commercio mondiale si è contratto del 6%), ma quella americana è in discreta salute grazie al piano dei militari: sebbene i dati economici non siano più affidabili da decenni, possiamo dare più o meno per buoni i 7 milioni di nuovi posti di lavoro creati a partire dall’insediamento di Trump, di cui 1,2 milioni nel settore manifatturiero e delle costruzioni. Significativa sembra essere la crescita dei salari, soprattutto per le categorie con i redditi più bassi; le dinamiche salariali risentono anche della stretta sulle politiche migratorie: se prima di Trump per ogni due nuovi posti di lavoro occupati da immigrati (legali o illegali) ne nascevano cinque che venivano occupati da cittadini americani, ora il rapporto è di due a sette.
Aggiornamento del 28 marzo 2020 - L’emergenza innescata dal coronavirus ha l’effetto di accelerare la ri-industrializzazione: il 18 marzo Trump ha invocato il Defense Production Act. Questo significa che il governo può prendere il controllo di interi rami della produzione e anche ampliarli. Di fronte alla crisi del coronavirus, un dibattito (certamente pilotato dagli esecutori del piano militare) si è aperto in tutto l’Occidente sulla necessità di riportare in patria certi settori vitali della produzione: si va verso una maggiore decentralizzazione della produzione industriale a livello globale.
Q#3904: il Tesoro americano ha, di fatto, incorporato la FED. Questo evento, apparentemente secondario o formale, è un vero e proprio terremoto che squassa antichi equilibri nell’ambito del capitalismo finanziario ed è un gravissimo colpo per la fazione globalista. Con la crisi legata al coronavirus, il Dipartimento del Tesoro sta, di fatto, nazionalizzando i mercati finanziari, acquistando tutti i titoli tossici o comunque venduti in massa nell’ambito del “panic selling”. In questo quadro, la FED opera come banca del Dipartimento del Tesoro, dopo che il tasso di interesse è stato ulteriormente abbattuto, il 15 marzo, allo 0-0,25%, e acquista i titoli per sostenere i mercati attraverso la BlackRock Inc., sempre a nome del Tesoro. La manovra è simile a quella effettuata, su scala più piccola, in seguito alla crisi del 2008, con la differenza che allora il controllo dell’operazione era nelle mani dell’allora capo della FED Bernanke, che chiuse i programmi di acquisto appena possibile, mentre oggi la Federal Reserve prende direttamente ordini dal Tesoro. Quindi, il perno del sistema mondiale delle banche centrali cessa di essere parte di una struttura sovranazionale e viene incorporata, di fatto, nel governo americano: la liquidità sui mercati non dipende più dalla FED, ma dal Tesoro, e così anche le richieste di credito internazionali sono nelle mani del Dipartimento del Tesoro, guidato da Steven Mnuchin. I militari hanno preso alla lettera il detto “non lasciare mai che una crisi vada sprecata”: si tratta di una svolta fondamentale nella “guerra silenziosa” tra sovranisti e globalisti, l'equivalente, forse, della battaglia di Stalingrado o dello sbarco in Normandia nel corso della II Guerra Mondiale.
Il governo degli USA ha approvato un programma di aiuti alle famiglie e alle imprese per l'emergenza coronavirus da 2,2 trilioni di dollari che, a seconda delle necessità, possono arrivare a 6,2 trilioni.
Aggiornamento del 13 aprile 2020 - La situazione determinatasi con la pandemia ha, di fatto, trasformato il mondo in un laboratorio economico: si sta assistendo, specie nei paesi sviluppati, a una drastica diminuzione delle ore lavorate (basti pensare al -40% nel consumo globale di petrolio), al mantenimento della produzione dei beni fondamentali, a una certa regolazione della distribuzione delle merci essenziali attraverso l’espansione monetaria indirizzata alla massa della popolazione, alla sostanziale tenuta della rete di trasporto e vendita. L’uso della moneta fiduciaria (quella cioè priva di un valore vero e proprio – e quindi letteralmente creabile in quantità arbitrarie -, al contrario, ad esempio, dell’oro, che ha un valore intrinseco), cioè della cartamoneta e del suo derivato elettronico, si conferma quindi uno strumento efficace, benché poco preciso, per regolare la distribuzione della ricchezza sociale. È ciò che le élite dominanti fanno da secoli a proprio vantaggio.
Aggiornamento del 28 aprile 2020 - Negli USA, Trump ha creato una task force per arrivare a una riapertura rapida, anche se graduale, delle attività economiche e, in quest’ottica, l’amministrazione ha emesso delle linee-guida, anche se la discrezionalità è stata lasciata ai singoli Stati. In questo modo, i governatori democratici, che tenteranno di tutto per prolungare la crisi fino a novembre per arrivare al voto postale, saranno smascherati e il loro partito subirà un notevole danno politico (in realtà, lo sta già subendo: negli stati che hanno messo in atto restrizioni obbligatorie al movimento delle persone sono state già inscenate numerose proteste popolari, anche clamorose): nella concezione politica americana classica, è inconcepibile un lockdown come quello messo in atto in Italia e in altri paesi, con restrizione obbligatoria dei movimenti delle persone, i princìpi costituzionali sono considerati intoccabili anche di fronte all’evento di un’epidemia.
Di fronte al crollo del prezzo del petrolio (dovuto ovviamente alla situazione legata alla pandemia), per evitare che l’industria petrolifera americana (e non solo) venisse distrutta, il 12 aprile Trump ha trovato un accordo con Russia e Arabia Saudita su un taglio della produzione pari a 20 mln di barili al giorno (circa il 10% della produzione totale): il petrolio estratto è talmente abbondante che non si sa più fisicamente dove stoccarlo, le riserve strategiche USA sono al massimo. Il 21 aprile, di fronte a un nuovo crollo del prezzo del greggio (per la prima volta nella storia abbiamo visto non solo i futures, ma anche il prezzo al barile su valori negativi – il 20 aprile il WTI ha chiuso a -37,63 $ al barile (avete letto bene, prezzo negativo!), un po’ come dire: ti pago se prendi il mio petrolio, perché non so dove metterlo - anche se il giorno successivo è risalito a + 10,01 $), Trump ha annunciato che sovvenzionerà l’industria petrolifera americana. L’attuale livello dei prezzi indebolisce fortemente i cartelli del petrolio, la situazione è da osservare anche in questo senso. Gli aspetti economici degli eventi in corso richiedono, in effetti, un ulteriore approfondimento.
Aggiornamento dell’11 luglio 2020 - L’economia americana, nonostante le riaperture soltanto parziali in molte parti del paese (i governatori democratici cercano di estendere il lockdown il più possibile proprio per boicottare l'economia e quindi la rielezione di Trump) ha recuperato oltre 7 milioni di posti di lavoro in due mesi; lo stesso indice Dow Jones di Wall Street, che era arrivato a 30.000 punti prima della pandemia e che si pensava sarebbe crollato fino a 7.000, naviga invece intorno ai 26.000 punti. Anche secondo i commentatori più avversi al presidente americano, l’economia USA sta volando. Questi risultati sono stati possibili grazie a uno spregiudicato utilizzo della FED, sottratta al controllo dei globalisti.
TESTI SCRITTI TRA IL 2019 E IL 2020, RIVISTI DOVE NECESSARIO